In un mondo dove il desiderio di esplorazione si è trasformato in fenomeno pret-a-porter, svuotando di significato il valore simbolico stesso del viaggio...
Ho dai primi viaggi cercato di ritagliare un senso al mio girovagare. Non si trattava di un’impresa da super uomo, ma di riflessione sulla percezione dei luoghi, in relazione: alle immagini, ai suoni, all’orografia (percepita attraverso lo sforzo muscolare), alla composizione dei terreni ( avvertita come cigolio, affaticamento delle membra e del mezzo meccanico, sottoposto a un continuo test, sul modello delle gare di durata).
L'avventura iniziava mesi prima della partenza, quando immaginavo e disegnavo il viaggio. Raccogliendo idee e intuizioni che riportate sulla mappa definivano un tracciato. Vecchie cartine scolastiche, mappe stradali e carte geografiche, pomeriggi in biblioteca e al Touring Club.
Parliamo di più di 20 anni fa , in un mondo senza navigatori in cui creativamente ci si ingegnava; io personalmente fotocopiavo poi su fogli A4 resistenti all'acqua l'itinerario, riducendolo così ad una sorta di scacchiera da portare in viaggio. Capitava a volte però che le immagini stingessero e allora erano dolori.